“IL MEDICO DEI PAZZI” di Eduardo Scarpetta
Con 11 attori
Regia di Leo Muscato
NOTE DI REGIA
Il medico dei pazzi è una delle più spassose commedie di Eduardo Scarpetta, una macchina perfetta dell’equivoco. Scritta nel 1908, racconta la disavventura di Don Felice Sciosciammocca, ricco proprietario terriero – un po’ ignorante, molto ingenuo e ancor più provinciale – che da anni finanzia gli studi di suo nipote Ciccillo. È convinto che il ragazzo si sia laureato in medicina e diriga un prestigioso manicomio. Peccato che Ciccillo, invece di studiare, abbia speso tutto in divertimenti e gioco d’azzardo e sia perennemente minacciato dai suoi creditori.
Quando Don Felice decide di fargli una sorpresa e si presenta a Napoli con la moglie, il nipote, colto alla sprovvista, improvvisa una bugia colossale: la Pensione Stella, dove vive, non è una comune pensione, ma un rispettabile istituto psichiatrico. Don Felice, vedendo gli eccentrici ospiti della pensione, si convince che siano pazienti e, da quel momento, la commedia si trasforma in un vortice di malintesi e situazioni paradossali, scene talmente iconiche da essere entrate nella memoria collettiva del teatro napoletano. Tra i presunti “matti” spiccano un borioso maggiore dell’esercito, un musicista spiantato e un po’ cleptomane, un attore filodrammatico alle prese con l’Otello, una madre esuberante in cerca di marito per una figlia troppo timida e molti altri personaggi improbabili. Per Don Felice, la Pensione Stella diventa un autentico circo degli orrori, abitato da figure sempre più minacciose, e il suo smarrimento cresce a ogni nuovo incontro. E a un certo punto il più matto di tutti sembra proprio Sciosciammocca, e la sua stessa identità comincia a vacillare. In questa nostra versione, spostiamo la vicenda di qualche decennio più avanti. Siamo fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, ed è appena entrata in vigore la Legge Basaglia, che abolisce i manicomi suscitando molta diffidenza nei confronti delle nuove strutture di cura, soprattutto per un provinciale ingenuo come Don Felice. Arrivato a Napoli, forse per la prima volta, Sciosciammocca si ritrova in una città in fermento e piena di contraddizioni, e lui non riesce più a distinguere chi è veramente sano e chi no. La sua stessa identità comincia a vacillare: e se il vero matto fosse proprio lui? Trasportare Il medico dei pazzi nella Napoli degli anni Settanta permette di giocare con un’estetica esuberante e iconica: basettoni, occhiali enormi, pantaloni a zampa e una colonna sonora senza tempo. Ma oltre al divertimento, emerge una riflessione più profonda: se tutti possono essere scambiati per qualcun altro, chi siamo davvero? E sul finale, mentre il pubblico ride, Don Felice, con il cuore gonfio di delusione, capisce di essere stato gabbato come un povero scemo: il suo adorato nipote, quello per cui ha sacrificato anni e denaro, lo ha raggirato con la spudoratezza di chi bara a carte con un cieco. Sorride amaramente, si stringe nella sua giacchetta da provinciale fuori posto. Forse è davvero lui il più matto di tutti, perché, nonostante tutto, non riesce a negare a nessuno il lusso di un poetico lieto fine.
Leo Muscato.