ALESSANDRO HABER

ALESSANDRO HABER

“MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE” di Arthur Miller
Traduzione e adattamento di Masolino D’Amico
Con Alvia Reale e un cast di 10 attori
Regia Leo Muscato

 

Tracciando bilanci del secolo che si concludeva, agli inizi dell’anno 2000 la rivista Time elencò i dieci lavori teatrali più significativi del Novecento. Il primo posto assoluto toccò a I sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. Il secondo andò a Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller: senza alcun dubbio la Grande Commedia Americana, quella che gli americani sentono come più autenticamente “loro”. Viene ripresa in continuazione in tutto il mondo, ma con Broadway ha un rapporto particolare. In una occasione particolarmente solenne, cinque o sei anni fa, il grande Mike Nichols la mise in scena riproducendo meticolosamente scene, costumi, musica e regia
dell’edizione originale del 1948, con un interprete di eccezione come Philip Seymour Hoffman. Alla fine
dell’ultima replica di questa produzione il pubblico come se si fosse dato un segnale non applaudì ma si alzò in
piedi compatto, come davanti a un rito.
Perché il Commesso colpisce così profondamente? E perché è così americano (ma allo stesso tempo, così
internazionale: se ne registrano persino versioni russe e cinesi in chiave anticapitalista e anticonsumista)?
Perché è la storia di un sogno; la storia di un piccolo uomo e del suo sogno più grande di lui. Nella fiaba della
farfalla e della formica, le simpatie vanno alla farfalla, benché questa venga sconfitta. E Willy Loman, sconfitto
alla fine come la farfalla, non ha pazienza. E’ nato in un paese giovane e impaziente, forse figlio di immigrati;
non ha radici, vuole salire nella scala sociale. Sogna a occhi aperti il successo facile, veloce. E’ un commesso
viaggiatore che si guadagna da vivere con la parlantina, e ha allevato i figli al culto dell’apparenza e della
superficialità; a disprezzare il cugino secchione e a puntare tutto sull’effimero; a essere attraenti, popolari,
campioni sportivi. Ma ha finito per farne dei falliti, vedi soprattutto il maggiore, Biff, la luce dei suoi occhi, che
però una volta questo padre deluse, distruggendo la propria immagine. Da allora il ragazzo ha perso ogni spinta
e coltiva le proprie frustrazioni (è caratteristicamente americano anche questo incolpare i difetti dei genitori
per giustificare le proprie sconfitte).
Sostanza a parte, è anche nella forma che il lavoro colpì ai suoi tempi per la novità, stimolando i registi (Elia
Kazan, Luchino Visconti furono i primi) a trovare soluzioni per una narrazione di tipo cinematografico, con brevi
scene in più luoghi e con un continuo altalenare tra presente e passato. Per dimostrare che sapeva quello che
faceva, prima di comporre questo mosaico Miller scrisse un dramma dalla struttura rigorosamente classica,
Erano tutti miei figli, tre atti con unità di tempo, luogo e azione. Il Commesso mischia invece verità e
allucinazione, si svolge contemporaneamente sulla scena, sotto gli occhi del pubblico, e nella testa del
protagonista, nella quale noi spettatori, a differenza dagli altri personaggi, siamo chiamati a entrare. Ne risulta
una macchina di teatro che è rimasta appassionante e attuale oggi come ai giorni del suo debutto.

(Masolino d’Amico)

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